La Mèscres
Nel rito del Carnevale ladino emergono due concetti essenziali: la mèscra, il personaggio che si cela sotto un abito completo, dal copricapo ai piedi, e la facera, la maschera lignea che vela e trasforma il volto.
In questo universo simbolico prendono forma tre figure principali, custodi dell’antica tradizione: il Laché, i Marascons e il Bufon. Le loro mondures uniscono sapientemente elementi del corredo tradizionale festivo femminile e maschile. Dalla parte femminile provengono pizzi, pettorine, camicia e collane; da quella maschile i tradizionali pantaloni in pelle e il gilet.
Eppure, nonostante questa fusione di segni, le mèscres rimangono entità asessuate, figure sospese fuori dal tempo, che non appartengono né al mondo degli uomini né a quello delle donne, ma alla dimensione più profonda e antica del Carnevale ladino.
L Laché
Tra le figure del Carnevale ladino, il Laché occupa un posto di assoluto prestigio. È l’ambasciatore del rito, colui che apre la cerimonia e ne stabilisce il ritmo e l’energia. La sua comparsa segna l’inizio del Carnevale: con balzi eleganti, passi misurati e la recitazione di un’antica filastrocca (Domane de poder ite te chesta cèsa o palaz che sie con duta mia bela e gran compagnia), egli prepara la comunità all’ingresso delle altre mèscres e sancisce il passaggio dal quotidiano al mondo simbolico della festa. Considerato la mèscra più stimata e carismatica, il Laché porta con sé la responsabilità del buon esito dell’intera esibizione.
Il suo copricapo, riccamente ornato, è uno degli elementi più riconoscibili del costume. Sulla parte frontale domina un grande specchio rettangolare, al quale la tradizione attribuisce molteplici significati. Tra questi, il più noto è la sua funzione protettiva: lo specchio avrebbe il potere di accecare gli spiriti maligni, riflettendo la loro stessa presenza e impedendo loro di avvicinarsi alla mèscra lungo il cammino.
Dalla sommità del copricapo si innalza una coppia di mezze code di gallo sforcello, un trofeo particolarmente ambito dai cacciatori d’alta montagna e, al tempo stesso, il simbolo distintivo dei coscric, i giovani che un tempo si preparavano al servizio militare. Questi ornamenti, posti in posizione dominante, conferiscono al Laché un’aura di fierezza e autorità, richiamando la forza, il coraggio e la vitalità della gioventù.
Un ulteriore elemento che identifica questa mèscra è la lunga asta che il Laché impugna con la mano sinistra. Anch’essa adorna di nastri multicolori, l’asta funge da sostegno per i caratteristici salti che egli esegue lungo il percorso. In molti paesi fassani, questi balzi non sono semplici movimenti coreografici, ma veri e propri gesti propiziatori, con cui si augurano prosperità, fertilità e protezione alla comunità.
Il Laché, con la sua presenza imponente e il suo ritmo cadenzato, non è soltanto il primo a comparire: è la voce del Carnevale, il suo portavoce rituale, il custode di una tradizione che ancora oggi unisce passato e presente in una danza senza tempo.
L Bufon
Il Bufon è la mèscra più audace e irriverente del Carnevale ladino, perché è lui a dare voce a ciò che solitamente rimane nascosto. Durante la mascherata, il Bufon recita quartine in rima, spesso pungenti, attraverso le quali porta in piazza vicende private, piccoli segreti o episodi curiosi che riguardano gli abitanti del paese. La sua parola, a metà tra scherzo e ammonimento, custodisce uno spirito doppio: ironico nella forma, intimidatorio nell’essenza, capace di mettere a nudo debolezze e difetti della comunità, sempre però nel solco della tradizione.
Il costume del Bufon è tra i più riconoscibili. Il suo copricapo, il ciapèl da bufon, ha una forma conica e si distingue per essere più alto, imponente e vistoso di quello del Laché. È ornato da un ricco fascio di nastri colorati, che ondeggiano a ogni suo movimento, accentuandone la figura caricata e teatrale.
In una mano il Bufon stringe la stica, una bacchetta in legno colorato che utilizza per stuzzicare la gente lungo il percorso, e non di rado preferisce bersagliare le donne, colpendole leggermente su spalle o fondoschiena. Nell’altra mano tiene l’ocel, un piccolo binocolo, con il quale scruta e osserva meglio le sue vittime, pronto a cogliere ogni dettaglio utile a rendere ancora più mordaci le sue rime.
Elemento distintivo e fondamentale è la facera, dalla quale pende un caratteristico pendente rosso sulla punta del naso. La facera viene fissata direttamente al copricapo in modo da bilanciarne il peso e conferire alla figura un aspetto ancora più grottesco e inconfondibile. Su di essa compaiono spesso decorazioni raffiguranti bruchi, larve o animali in trasformazione, simboli del passaggio, della mutazione e dell’evoluzione. Queste immagini non sono casuali: il Bufon è tradizionalmente interpretato da giovani che non sono più bambini, ma non sono ancora adulti, figure anch’esse in un momento di transizione.
Anche la parte inferiore del costume è ricca e colorata. Alla vita il Bufon indossa un grembiule variopinto, mentre sulle gambe porta la stinfernes, calzettoni anch’essi decorati con colori vivaci, che completano l’immagine sfrontata e dinamica di questa mèscra.
Il Bufon, con la sua presenza provocatoria e giocosa, rappresenta la voce irriverente della comunità: colui che, dietro il velo della maschera, osa dire ciò che altri non possono dire, trasformando satira e scherno in uno strumento rituale di purificazione collettiva.
I Marascons
I Marascons sono tra le mèscres più antiche e misteriose del Carnevale ladino, figure arcaiche che camminano ai confini tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti. A differenza delle altre maschere, essi si muovono sempre in coppia, quasi fossero due anime inseparabili.
Il loro passo è scandito dal rintocco profondo dei bronzins, i grandi campanacci che portano alla vita, simboli degli spiriti che ritornano sulla terra durante il Carnevale. Il suono dei bronzins, grave e ritmato, è un richiamo ancestrale: annuncia il loro passaggio, allontana le presenze oscure e testimonia il legame tra la comunità e le generazioni che l’hanno preceduta.
Per questo i Marascons sono considerati anche le maschere guida, le più antiche e originali dell’intera tradizione. La loro funzione non è lo scherzo, né la parola: essi non parlano mai. La loro voce è il suono stesso dei bronzins. Il loro linguaggio è il salto, ripetuto e rituale, attraverso il quale comunicano energia, continuità e presenza. Nel silenzio dei Marascons vive la memoria più profonda del Carnevale.
Il loro copricapo richiama quello del Laché, ma se ne distingue per l’assenza delle frange colorate: una scelta che accentua la loro natura austera, essenziale, quasi primordiale. A rendere questa mèscra inconfondibile è proprio il complesso dei bronzins fissati a un robusto cinturone di pelle, indossato attorno alla vita. Ogni movimento dei Marascons fa vibrare i campanacci, e quel suono, che attraversa le strade e le case del paese, rinnova il credo ancestrale del ritorno degli spiriti dei defunti sulla terra.
Nella mano sinistra i Marascons impugnano uno scettro, simbolo di comando e di autorità. Esso rappresenta il loro ruolo di guide, custodi dell’ordine e della struttura della società, almeno nel tempo sospeso del Carnevale.
Nella mano destra portano invece la facera, la maschera lignea scolpita nel cirmolo e dipinta a colori ad olio. Priva di espressione e di tratti individuali, la facera ha la funzione di annullare l’identità di chi la indossa: chiunque diventi Marascon smette di essere un individuo e si trasforma in un tramite, una presenza collettiva, un’emanazione della tradizione.
I Marascons, con il loro silenzio, con i loro salti e con il ritmare possente dei bronzins, incarnano il cuore più antico del Carnevale ladino: un ritorno al sacro, alla memoria dei padri e al mistero del ciclo della vita.